Ieri mattina mi sono trovato davanti a una di quelle situazioni che ogni marketer conosce bene: dovevo creare un questionario di onboarding completo per un nuovo cliente, un’azienda artigianale che produce oggetti di design sostenibili usando materiali di recupero. Il cliente aveva bisogno di una brand identity completa, un sito web con e-commerce e una strategia Instagram da zero.
Il problema? Per raccogliere tutte le informazioni strategiche necessarie serviva un questionario corposo – parliamo di brand positioning, target audience, processi produttivi, obiettivi di business, presenza digitale attuale, budget, timeline… Una montagna di domande che richiedevano risposte strutturate per poter lavorare bene.
Mi sono reso conto che creare manualmente un Google Form di questa portata mi avrebbe portato via l’intera mattinata, forse anche di più. Stiamo parlando di almeno 2-3 ore di lavoro noioso: pensare alle domande, formattarle correttamente, impostare le validazioni, creare le sezioni logiche, testare tutto… Una noia mortale.
Poi mi è venuta un’idea: e se provassi a far fare tutto a Claude Sonnet 4?
L’esperimento che ha cambiato tutto
Ho aperto Claude e ho iniziato quello che si è rivelato essere uno degli esperimenti più interessanti degli ultimi mesi. Il mio obiettivo era ambizioso: creare un questionario professionale da 64 domande organizzate in sezioni logiche, con validazioni, progress bar e tutto quello che serve per fare bella figura con il cliente.
Ho iniziato con un briefing molto specifico. Non mi sono limitato a dire “creami un questionario”, ma ho dato a Claude tutto il contesto: che tipo di azienda era il cliente, cosa facevano, di cosa avevano bisogno, che approccio volevo usare. Gli ho spiegato che serviva qualcosa di professionale ma accessibile, completo ma non overwhelming.
La risposta di Claude mi ha stupito. In pochi minuti ha strutturato un questionario logico e ben pensato, organizzato in 15 sezioni tematiche che coprivano tutto: dalle informazioni generali sulla storia dell’azienda fino alle priorità strategiche per il futuro. Le domande erano formulate in modo intelligente, con il giusto equilibrio tra professionalità e cordialità.
Dal concept alla realtà: la trasformazione tecnica
Avere un bel questionario su carta è una cosa, ma trasformarlo in un Google Form funzionante è tutt’altra storia. Qui è arrivato il secondo momento di genialità di questa giornata.
Invece di iniziare a creare manualmente il form, cliccando 64 volte per aggiungere ogni singola domanda, ho chiesto a Claude di ristrutturare tutto specificamente per Google Forms. Gli ho detto: “Ora trasforma questo questionario in formato Google Forms, specificando per ogni domanda che tipo di campo usare: testo breve, paragrafo, scelta multipla, checkbox, griglia e così via.”

La trasformazione è stata immediata e precisa. Claude ha ripreso ogni singola domanda e l’ha convertita nel formato giusto: “Q1 [TESTO BREVE – OBBLIGATORIO] Nome completo dell’azienda”, “Q5 [PARAGRAFO – OBBLIGATORIO] Come e quando è nata la vostra azienda?”, “Q10 [CASELLE DI CONTROLLO] Quali prodotti create attualmente?”.
Tutto perfettamente formattato, con indicazioni chiare sui campi obbligatori, i testi di aiuto e le opzioni di scelta. Era già pronto per essere implementato, ma io volevo spingermi oltre.
Il colpo di genio: l’automazione completa
A questo punto ho fatto la domanda che ha cambiato tutto: “Claude, puoi crearmi lo script Google Apps Script per generare automaticamente questo form?”
Ecco dove la magia è diventata reale. Claude ha iniziato a scrivere codice JavaScript per Google Apps Script. Parliamo di centinaia di righe di codice che automatizzavano completamente la creazione del form: ogni domanda, ogni validazione, ogni impostazione.

Naturalmente, non è andato tutto liscio al primo tentativo. Anzi, abbiamo avuto una sessione di debugging collaborativo molto interessante, alla quarta iterazione abbiamo raggiunto lo scopo.
Il primo errore è stato un classico: Claude aveva usato form.createChoice()
che non esiste nell’API di Google Forms. L’errore era chiaro: “TypeError: form.createChoice is not a function”. Ho semplicemente copiato l’errore e l’ho mandato a Claude, che ha immediatamente capito il problema e corretto con .setChoiceValues()
.
Il secondo errore riguardava le validazioni email: Claude aveva usato requireValidEmail()
invece del corretto requireTextIsEmail()
. Di nuovo, un copia-incolla dell’errore e una correzione immediata.
Il terzo tentativo si è bloccato ancora prima di eseguire lo script – errore di sintassi alla riga 57. Il problema erano gli apostrofi non escapati nelle stringhe JavaScript. Claude ha capito subito e ha riscritto tutto lo script con una sintassi pulita, sostituendo frasi come “Solo l’anno” con “Solo anno” per evitare conflitti.
Il momento della verità
Dopo tre iterazioni rapidissime di debug, finalmente avevo uno script funzionante di 643 righe di codice. Ho aperto script.google.com, creato un nuovo progetto, incollato il codice, salvato e premuto “Esegui”.
La prima volta Google mi ha chiesto di autorizzare lo script ad accedere ai miei Google Forms. Dopo aver dato i permessi, lo script è partito e in meno di 30 secondi mi ha restituito tre link: quello per i clienti che devono compilare il form, quello per modificarlo e l’ID univoco del form.
Ho aperto il link e sono rimasto a bocca aperta. C’era il mio questionario, perfetto: 64 domande organizzate in 15 sezioni con page break, barra di progresso, validazioni funzionanti, campi obbligatori marcati, testi di aiuto, griglie per le priorità… Tutto exactly come l’avevo immaginato, ma creato automaticamente.
Cosa ho imparato da questa esperienza
Questa esperienza mi ha insegnato diverse cose importanti sul futuro del lavoro e su come l’AI può davvero cambiarci la vita quotidiana.
Prima di tutto, Claude non è solo un chatbot intelligente – è un vero partner di lavoro. Durante tutto il processo si è comportato come il miglior pair programmer che abbia mai avuto: capiva il contesto, traduceva i requisiti business in soluzioni tecniche, debuggava i problemi in tempo reale e si adattava ai feedback. Non ho mai avuto la sensazione di parlare con una macchina, ma piuttosto con un collega molto bravo.
La seconda cosa che mi ha colpito è quanto sia sottovalutato Google Apps Script. Con l’aiuto dell’AI, anche chi non è un programmatore può automatizzare task complessi del proprio workflow quotidiano. La curva di apprendimento diventa praticamente piatta quando hai Claude che ti guida passo passo.
Ma la lezione più importante riguarda il prompt engineering. All’inizio ero tentato di dire semplicemente “creami un questionario”, ma ho imparato che la specificità fa tutta la differenza del mondo. Più contesto dai a Claude, più il risultato sarà preciso e utile. Nel mio caso, spiegare che tipo di azienda era il cliente, cosa facevano, che tone of voice volevo usare, quanto tempo doveva richiedere la compilazione… tutti questi dettagli hanno permesso a Claude di creare qualcosa di veramente su misura.
I numeri che contano
Facciamo un po’ di conti, perché i numeri sono impressionanti. Creare manualmente questo questionario mi avrebbe richiesto:
- 30-45 minuti per pensare e strutturare le domande
- 90-120 minuti per creare il Google Form cliccando ogni singola opzione
- 15-30 minuti per testare e correggere eventuali errori
Totale: dalle 2 alle 3 ore di lavoro.
Con Claude e Apps Script:
- 3 minuti di briefing iniziale
- 3 minuti per la ristrutturazione Google Forms
- 2 minuti per la generazione dello script
- 2 minuti di debug ed esecuzione
Totale: 10 minuti netti.
Stiamo parlando di un time saving del 92-94%. Ma non è solo questione di tempo – la qualità del risultato è stata superiore a quello che avrei fatto manualmente. Zero typos, formattazione consistente, validazioni professionali, flusso logico garantito. L’automazione ha eliminato completamente l’errore umano.
Replicabilità e scalabilità
La cosa più bella di tutto questo processo è che ora ho un template riutilizzabile. Il prossimo cliente che avrò bisogno di un questionario di onboarding simile potrà averlo in 5 minuti invece che in ore. E posso facilmente adattare l’approccio per settori diversi: basta cambiare il briefing iniziale a Claude.
Ho anche capito che questo workflow si può applicare a tantissimi altri contesti: questionari per ricerche di mercato, form di feedback clienti, survey interni aziendali, moduli di iscrizione eventi… Le possibilità sono infinite.
Per esempio, un avvocato potrebbe usare questo approccio per creare form di intake clienti completi di tutte le clausole di compliance necessarie. Un medico potrebbe automatizzare la creazione di questionari anamnestici. Un’agenzia immobiliare potrebbe generare form di profilazione clienti personalizzati per ogni zona o tipologia di immobile.
Riflessioni sul futuro del lavoro
Questa esperienza mi ha fatto riflettere molto su come sta cambiando il nostro lavoro quotidiano. Non stiamo parlando di AI che sostituisce gli umani, ma di AI che amplifica le nostre capacità cognitive e ci libera dalle attività ripetitive per concentrarci su quello che davvero conta: la strategia, la creatività, le relazioni con i clienti.
Invece di sprecare una mattinata a cliccare su Google Forms, ho potuto dedicare quel tempo a pensare alla strategia di brand per il cliente, a preparare concept creativi, a pianificare il progetto. L’AI si è occupata dell’implementation, io mi sono concentrato sul thinking strategico.
Questo è il futuro che vedo: non robot che ci sostituiscono, ma strumenti intelligenti che diventano i nostri partner per raggiungere risultati migliori in meno tempo. La chiave è imparare a collaborare efficacemente con questi strumenti, proprio come ho fatto con Claude in questa esperienza.
Consigli pratici per chi vuole provarci
Se state pensando di sperimentare con un approccio simile, ecco alcuni consigli pratici che ho imparato lungo il percorso.
Primo: siate specifici nei prompt. Non dite “creami un questionario”, ma spiegate il contesto, il target, gli obiettivi, i vincoli. Claude lavora meglio quando ha un quadro completo della situazione.
Secondo: non abbiate paura degli errori. Durante il debugging con Claude ho capito che l’iterazione rapida è molto più efficace della ricerca della perfezione al primo tentativo. Meglio avere tre piccoli errori da correggere velocemente che passare ore a cercare di fare tutto perfetto subito.
Terzo: imparate le basi di Google Apps Script. Non serve diventare programmatori, ma capire la struttura base vi aiuterà a comunicare meglio con Claude e a customizzare i risultati secondo le vostre esigenze.
Quarto: documentate i vostri template di successo. Una volta che avete un workflow che funziona, salvatelo e adattatelo per progetti futuri. L’investimento di tempo iniziale si ripaga rapidamente.
Il risultato finale
Alla fine di questa giornata avevo non solo un questionario perfetto per il mio cliente, ma anche una nuova competenza e un workflow replicabile che mi farà risparmiare ore di lavoro in futuro. Il cliente è rimasto impressionato dalla professionalità del questionario e dalla velocità con cui siamo riusciti a strutturare l’onboarding.
Ma soprattutto, ho sperimentato in prima persona come l’AI possa davvero trasformare il nostro modo di lavorare. Non è fantascienza, non è teoria – è qualcosa che potete provare oggi stesso e che può cambiare concretamente la vostra produttività quotidiana.
Se c’è una cosa che vorrei che rimanesse da questa storia, è questa: l’AI non è una minaccia per il nostro lavoro, è un’opportunità per fare il nostro lavoro meglio. La chiave è imparare a collaborare con questi strumenti invece di temerli o ignorarli.
E ora, se dovessi creare un altro questionario di 64 domande, sapete quanto tempo mi servirebbero? Esatto: 10 minuti. E la prossima volta che qualcuno mi dirà che l’AI è solo hype, avrò una storia concreta da raccontare.